Phom Fotografia

  • Gaia Squarci è la settima ospite di CartaBianca.

    CartaBianca è, uno spazio editoriale in cui chiediamo ai fotografi di scegliere e raccontarci una loro immagine: come è nata? Che cosa rappresenta nel tuo lavoro? Che processo c'è stato per la sua realizzazione? C'è una storia dietro?
    I fotografi rispondono come preferiscono, non c'è un format di risposta predefinito ma solo la libertà di farlo secondo il proprio personale modo di raccontare. È questa la cosa bella, e così
    bianca, appunto.

    Il progetto nasce da un'idea di Vanessa Vettorello e Mariateresa dell'Aquila.

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    La fotografia scelta da Gaia Squarci

    La lava dalla fessura 7 dell'eruzione del vulcano Kilauea avanza sulla strada nella zona residenziale di Leilani Estates, Big Island, Hawaii © Gaia Squarci
    La lava dalla fessura 7 dell'eruzione del vulcano Kilauea avanza sulla strada nella zona residenziale di Leilani Estates, Big Island, Hawaii © Gaia Squarci


    Guardo la lava avanzare sull’asfalto come se volesse stendere un altro manto grigio, cancellare una strada per crearne una nuova. Un cavo dell'alta tensione, il cui palo é caduto a terra, prende fuoco. Lo fisso con il cuore che batte e una strana freddezza cerebrale. Mi giro verso una fattoria che si erge tranquilla, intatta, pochi metri dietro di me sulla sinistra. Entro poche ore sarà completamente sommersa. 

    Ci saranno una decina di persone attorno a me. Vivono qui o poco lontano, alcuni di loro non hanno già più una casa. Non si disperano, fissano davanti a loro e scattano foto con i cellulari, un'ebbrezza incerta negli occhi. Immagino di avere sul viso la loro stessa espressione, quella di uno shock che invece di consumarsi in un attimo si protrae nel tempo, senza mai passare per un momento culminante. La meraviglia dei momenti in cui si guarda qualcosa senza essere in grado di concepirne davvero l'enormità, dalla quale la natura umana ci protegge regalandoci un velo di distanza emotiva. Difficile crederci anche se gli occhi vedono. Questa visione non appartiene al mondo in cui vivo, eppure ne rappresenta l’essenza. La strada si è aperta e la lava ha iniziato ad uscire.

    Una fontana di lava fuoriuscita dalla fessura 7 del vulcano Kilauea sono visibili nella zona residenziale di Leilani Estates, Big Island, Hawaii. © Gaia Squarci
    Una fontana di lava fuoriuscita dalla fessura 7 del vulcano Kilauea sono visibili nella zona residenziale di Leilani Estates, Big Island, Hawaii. © Gaia Squarci

    Due fontane di lava fuoriuscita dalla fessura 7 del vulcano Kilauea sono visibili nella zona residenziale di Leilani Estates, Big Island, Hawaii. © Gaia Squarci
    Due fontane di lava fuoriuscita dalla fessura 7 del vulcano Kilauea sono visibili nella zona residenziale di Leilani Estates, Big Island, Hawaii. © Gaia Squarci


    Da qualche anno porto avanti un progetto chiamato Presence, lavorando a storie focalizzate sul rapporto che gli esseri umani sviluppano con i vulcani. In Messico ho seguito cerimonie pre-ispaniche su due vulcani sacri, in Italia ho lavorato a Stromboli e nei Campi Flegrei con piccole comunità locali, e qualche anno prima che questa foto fosse scattata mi trovavo in Hawaii per una storia su una simulazione di vita su Marte.
    Nel 2018, durante l’eruzione del vulcano Kilauea, ho viaggiato nelle Hawaii per lavorare come assistente in un corso di bookmaking, a Honolulu, Oahu. Avevo avuto solo un weekend libero per volare sull’isola vicina e fotografare l’eruzione. I voli per Big Island erano stati sospesi per qualche giorno ma poi ristabiliti. L’area più colpita dell’isola, Leilani Estates, era stata recintata dalla polizia ed era difficile entrare, anche per la stampa.

    Un elicottero sorvola l'area Leilani Estates di Big Island, Hawaii, durante l'eruzione del vulcano Kilauea. © Gaia Squarci
    Un elicottero sorvola l'area Leilani Estates di Big Island, Hawaii, durante l'eruzione del vulcano Kilauea. © Gaia Squarci


    Ho ricontattato Roy, un surfista di origine filippina che avevo conosciuto qualche anno prima, quando io e i miei colleghi affittammo due stanze del suo Airbnb per lavorare alla storia su “Marte”. Roy conosce l’isola come un locale, ha un’auto ed è attratto dai vulcani in un modo in cui mi riconosco. Gli ho scritto per chiedergli se volesse lavorare due giorni con me come fixer. Parte della sua email di risposta descrive bene il suo modo di sentire e quello di molti altri con cui ho parlato in quei giorni.


    "Sto bene per ora, nonostante i terremoti costanti, il diossido di zolfo nell’aria e il flusso di lava che incombe a qualche chilometro di distanza. È un evento tragico ma dobbiamo anche ricordarci che viviamo sulla rift zone di uno dei vulcani più attivi del pianeta. Ammetto che un terremoto di scala 6.9 venerdì scorso mi ha spaventato e mi ero spostato ad Hilo, ma il carattere sensazionalistico delle news e i post allarmistici sui social media non riescono comunque a far tacere l’energia polarizzante che si vive qui in questo momento, e che mi ricorda le ragioni per cui mi sono trasferito sull’isola. Dopo un paio di notti sul divano di un amico ho deciso di tornare a casa, dove cerco di restare informato e pronto ad evacuare quando Lei decide che è arrivato il momento."

    Il bagliore dell'eruzione del vulcano Kilauea è visibile di notte a Big Island, Hawaii. 27 maggio 2018 © Gaia Squarci
    Il bagliore dell'eruzione del vulcano Kilauea è visibile di notte a Big Island, Hawaii. 27 maggio 2018 © Gaia Squarci



    La "Lei" a cui si riferiva Roy è Pele, la dea del vulcano, amata nelle Hawaii anche da chi non segue nessuna religione specifica, come incarnazione della potenza della natura e del rispetto che incute nella più cruda delle sue forme.




    Sull’isola molte strade erano chiuse. Passando vicino ai posti di blocco si notava fumo che usciva dall’asfalto. Io e Roy abbiamo percorso un tratto di costa dove la lava si riversava direttamente in mare e camminato in una foresta che stava lentamente bruciando a causa dell’eruzione. Il giorno dopo abbiamo passato qualche ora in un centro sportivo dove molti tra coloro che avevano perso abitazioni nella zona erano alloggiati, a volte nelle loro stesse tende da campeggio, all’aperto. Lì ho incontrato Don, dell’Ohio. Il giorno prima la lava aveva ricoperto la terra su cui stava costruendo casa sua. Don ha offerto di condurci con la sua auto nel Leilani, dato che entrare con un residente era l’unico modo per passare le linee della polizia.

    Arrivata davanti alla colata che ho descritto all’inizio riuscivo solo a guardare, con la certezza di non poter capire. I vulcani stimolano qualcosa che non credo la sensibilità umana sia in grado di processare al momento, qualcosa che si sedimenta poco a poco. Regalano la sensazione di stare davanti ad un passato molto più antico di quanto riusciamo a disegnare mentalmente in una linea del tempo, e ad un futuro che siamo sicuri di non poter vedere. Così facendo ci restituiscono l’unico tempo che è davvero nostro.

    Roy Ruiz, 39 anni, residente nell'area di Seaview a Big Island, si arrampica nella foresta in lenta combustione mentre la lava dell'eruzione del vulcano Kilauea avanza nell'area di Opihikao di Big Island, Hawaii, Stati Uniti. 27 maggio 2018 © Gaia Squarci
    Roy Ruiz, 39 anni, residente nell'area di Seaview a Big Island, si arrampica nella foresta in lenta combustione mentre la lava dell'eruzione del vulcano Kilauea avanza nell'area di Opihikao di Big Island, Hawaii, Stati Uniti. 27 maggio 2018 © Gaia Squarci

    Gaia Squarci, marzo 2021.

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    Gaia Squarci é una fotografa e videomaker italiana che si divide tra Milano e New York, dove insegna all’ICP, International Center of Photography. Gaia collabora con l’agenzia Prospekt, è fellow di IWMF e membro di Women Photograph. Con un background in storia dell’arte e fotogiornalismo, tende ad un approccio personale che si distanzia dalla tradizione narrativa della fotografia documentaristica. Il suo lavoro si focalizza sul rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente, sulla disabilità, l’invecchiamento e i rapporti familiari. Gaia ricevuto un Covid Emergency Grant di National Geographic nel 2021, é stata tra le 30 donne sotto i 30 anni segnalate da Photo Boite nel 2018 e POYi ha premiato la sua cinematografia e fotografia rispettivamente nel 2014 e 2017. Nel 2015 il suo progetto Broken Screen é stato selezionato per la mostra sui nuovi approcci alla fotografia reGeneration3, al Musée de l’Elysée a Losanna. Il suo lavoro é apparso sul New York Times, the New Yorker, Time Magazine, Vogue, the Economist e varie altre pubblicazioni internazionali. Le sue foto e video sono stati esposti negli Stati Uniti, Italia, Francia, Svizzera, Messico, Regno Unito e Cina.
    https://www.gaiasquarci.com/

  • logo_takeover_3-01 (1)

    Questo mese Phom da il via a #phomtakeover: una settimana al mese cederemo il nostro account Instagram ad un/a giovane fotografo/a, per vivere una settimana con loro, per vedere con i loro occhi, per approfondire - ancora una volta - il lavoro del fotografo in tutte le sue sfaccettature, compresa la relazione con i social media.

    Phom ha sempre avuto uno sguardo rivolto ai giovani fotografi, autori talentuosi in cui vediamo il futuro della fotografia, italiana e non. Vogliamo quindi sostenerli e parlare di loro. Possono usare il nostro account come vogliono: per presentare un lavoro già finito, un lavoro in progress o per condividere degli scatti e dei momenti personali.
    Iniziamo questo mese con Gaia Squarci.

    Gaia Squarci è una fotografa e videomaker che vive e lavora a New York, dove è contributor dell'agenzia Prospekt.
    Cresciuta a Milano, ha studiato Storia dell’Arte a Bologna e fotogiornalismo all'International Center of Photography (ICP). Nel 2014 ha frequentato l'Eddie Adams Workshop ed è stata finalista per la Joop Swart masterclass. Nel 2015 i suoi lavori sono stati esposti all’interno di reGeneration3, collettiva di nuove prospettive della fotografia, al Musée de l’Elysée in Lausanne.

    Collabora con New York Times, New Yorker, Time Magazine, Vogue, Wall Street Journal, MSNBC, VICE, The Guardian, Newsweek e L'Oeil de le Photographie. Ha esposto negli Stati Uniti, Italia, Francia, Svizzera, Messico, Irlanda e Cina.

    Le abbiamo fatto qualche domanda sul suo lavoro.

    1. “Broken Screen” è uno dei tuoi lavori più particolari, per cui hai preferito usare il bianco e nero. Traspare una certa empatia e la volontà di essere partecipi alla diversa percezione di chi non vede. Cosa vuol dire raccontare la cecità con un mezzo visivo come la fotografia?

    L’interesse per la cecità e partito proprio dalla fotografia. Mi sono resa conto di quanto la mia vita sia profondamente permeata di immagini, di quanto influenzino le regole del mondo in cui vivo e le relazioni tra gli esseri umani. Chi non ha più la possibilità di ricevere e scambiare stimoli visivi subisce comunque le dinamiche sociali dettate dalle immagini. Nel momento in cui ho iniziato a fotografare per questo progetto ci e’ voluto un po’ di tempo per trovare il modo giusto di farlo, perché anziché tentare di “spiegare” tramite le fotografie alcuni momenti della vita di chi non vede, il mio intento era quello di portare chi vede ad immedesimarsi nella loro situazione, e a chiedersi come reagirebbero, e come la loro identità nel mondo delle immagini sarebbe intaccata dalla perdita della vista.  

    2. Hai usato molto il video anche per lavori legati alla performance e alla moda, anche con un approccio diverso da quello documentaristico che hai di solito: ce ne vuoi parlare?

    Occasioni legate alla performance e alla moda sono un canale parallelo su cui é diventato importante per me poter lavorare, e in passato e’ capitato che aprissero la strada per storie più ampie. Trovo che l’ambito della fotografia e del video di reportage rischi spesso di chiudersi nell’autoreferenzialità e cerco il più possibile di assorbire nuovi spunti creativi anche da altre circostanze. Dirigere video su richiesta é un lavoro in cui mi trovo a mio agio e che mi stimola molto. Ovviamente nei lavori commissionati ho meno libertà di comunicare esattamente la mia visione, ma cerco di girare in modo che la discussione con il cliente possa avvenire durante il montaggio, così da non rischiare di scontentarlo completamente pur provando a spingere su alcune scelte personali di stile o contenuto. Sono lavori molto diversi da quelli di taglio documentario, ma dietro alla macchina c’è sempre la stessa persona.

    3. Sul tuo profilo Instagram troviamo tante immagini personali insieme ad alcune prese dai tuoi lavori: che approccio hai con i social media? Quanto (e come) li sfrutti per il tuo lavoro?

    Ho un rapporto piuttosto ambivalente con i social media. Sul piano personale mi divertono, cerco di non prenderli troppo sul serio e nonostante siano un mezzo di comunicazione onnipresente ho cercato di dar loro un posto abbastanza limitato nella mia vita quotidiana. Allo stesso tempo però la loro influenza sui grandi numeri mi sorprende spesso, e a volte mi spaventa. Consapevole dell’impatto che i social media hanno acquistato nel mio campo lavorativo, mentre scelgo immagini di diario da alternare a quelle tratte da progetti fotografici penso sempre al fatto che la maggior parte delle persone che le vedranno fanno parte del mio settore. 

    4. Ti capita di usare professionalmente le immagini che hai scattato con lo smartphone? 

    Di rado, ma succede. Di solito scelgo di usare il telefono anzichè la macchina fotografica solo in circostanze particolari, legate o alla posizione dell’inquadratura che sarebbe più complicato realizzare con una macchina tradizionale, oppure al potenziale pericolo nell’essere identificata come fotografa professionista in determinate situazioni. Non ho nulla contro l’uso del telefono per fotografare e forse non mi sono applicata a sufficienza per imparare ad usarlo al massimo delle sue potenzialità, ma, considerando anche il fatto che amo molto scattare di notte, continuo a preferire la velocità, la precisione e la gamma di scelte che offre la macchina fotografica. 

    Potete vedere con gli occhi di Gaia, dal 18 al 24 gennaio, sul nostro account Instagram @instaphom. Buon viaggio!

    Intervista a cura di Gabriele Magazzù

    ENGLISH VERSION

    This month Phom is kicking off #phomtakeover: a young photographer is going to take over our Instagram account for a week each month so that we can live with them for the time being, see through their eyes and – once more – deepen our analysis in the photographer’s work and all its facets, including the relationship with social media.

    Phom has always kept an attentive eye on young photographers and talented authors – people where we’d see the future of photography, both nationally and internationally. So we want to support them and talk with them. They will use our account as they please – to present a completed work or a work-in-progress, or simply share personal shots and moments.

    We’re starting with Gaia Squarci this month.

    Gaia Squarci is a photographer and video-maker based and working in New York, where she’s a contributor for Prospekt agency.

    Raised in Milan, she studied History of Art in Bologna and photojournalism at the International Center of Photography (ICP). In 2014 she attended the Eddie Adams Workshop and she landed a place in the final of the Joop Swart masterclass. In 2015 her works were exhibited within reGerenation3 (a collective about new prospectives of photography) at the Musée de l’Elysée in Lausanne.

    Her clients include The New York Times, The New Yorker, Time Magazine, Vogue, The Wall Street Journal, MSNBC, VICE, The Guardian, Newsweek and L'Oeil de le Photographie. Her work has been exhibited in the United States, Italy, France, Switzerland, Mexico, Ireland and China.

    We’ve asked her a few questions about her work.

    1. “Broken Screen” is one of your most peculiar works, where you opted for black and white. A sense of empathy and willingness to participate to the different perception of those who can’t see emerges from it. What does it mean to recount blindness through a visual means like photography?

    My interest in blindness originated from photography, actually. I realized to what extent my life is profoundly imbued with images, and how much they influence the rules of the world I live in, as well as interpersonal relationships. Those who don’t have the chance to receive and exchange visual stimuli are still subjected to the social dynamics connected to images. As I started shooting for this project it took me some time to find the right way to carry it on. Rather than attempting to “explain” a few moments of the lives of blind people through photographs, I aimed at leading those who can see to identify themselves in their situation, ask themselves how they would react – and how their identity in the world of images would be effected by the loss of eyesight.

    2. You’ve resorted to video-making also for various works related to fashion and performances – and with a different approach to the documentary one you usually use, too. Could you tell us about it?

    Fashion and performance occasions have become a parallel channel for me to work on, and in the past they’ve happened to lead the way to wider stories. I believe that the world of photography and documentary video-making often risks to become self-referential, so I try my best to absorb as many new creative stimuli from different sources as possible. Directing videos on assignment makes me very comfortable and it stimulates me a lot. Obviously, when working on assignment, I have less liberty in terms of communicating my vision exactly, but I still try to shoot in a way that the talk with the client may develop during the editing phase. This way I’ll avoid failing him completely, while still trying to push forward my personal choices with regard to style or content. They’re extremely heterogenous works compared to the documentary ones, but the person behind the camera is the same.

    3. Your Instagram account features a number of personal images as well as shots from your works. What’s your approach with social media? To what extent (and how) do you exploit them for your work?

    My approach with social media is quite dualistic. On a personal level, they amuse me. I try not to take them too seriously and, despite the fact they are an ubiquitous means of communication, I’ve tried to give them limited room in my everyday life. However, I’m also surprised at the influence they have on a mass level, and it does scare me sometimes. While I’m aware of the impact that social media have gained in my field of work, as I browse through diary images to alternate with shots from photographic projects, I’m always mindful of the fact that most viewers belong to my field of work.

    4. Do you happen to use pictures taken with your smartphone for professional projects?

    Rarely, but it does happen. I usually opt for my smartphone instead of my camera only under particular circumstances, which are linked to either the positioning of the framing (which would be harder to do with a traditional camera), or the potential risk of being recognized as a professional photographic in given situations. I’m not against the use of smartphones to take photos at all, and perhaps I haven’t committed enough to learning to use them at their best. Still, also considering the fact that I love to shoot at night, I keep preferring the speed, precision and wide range of choices that the camera offers.

    You can follow her from January 18 to 24 on our Instagram account @instaphom. Enjoy the journey with Gaia!

    Interview by Gabriele Magazzù

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