Marco Casino è un fotografo italiano che si divide tra il reportage sociale e la fotografia commerciale. Per le sue foto riceve diversi riconoscimenti e nel 2014 vince il World Press Photo Multimedia Contest nella categoria Short Feature con il video “Staff Riding”. È rappresentato da Luz ed è anche Leica Ambassador.
Marco è il nostro sesto #phomtakeover! Lo abbiamo incontrato, ed ha risposto ad alcune domande:
1. Il premio a "Staff Riding” ti ha dato certamente - oltre ad un meritato riconoscimento - visibilità globale: quando hai cominciato ad usare il video nei tuoi progetti? Pensi che ci sia ancora poca integrazione tra immagini fisse e in movimento?
Il primo vero tentativo di creazione di un video risale al 2010, dove raccontavo i riti settennali di Guardia Sanframondi, vicino Benevento: era poco più di uno slideshow ma già da allora iniziai ad affiancare alle mie foto sia audio registrato sul luogo che materiale video d'archivio raccolto da privati cittadini. Era passato pochissimo tempo da quando avevo visto una cosa simile - fatta decisamente meglio - dell' agenzia PictureTank per il reportage di Michele Borzoni di Terra Project sul Kashmir con cui quell' anno vinse il WPP con una foto singola- e ne rimasi particolarmente colpito. Quella fu la prima volta che partii per un lavoro con l'intento di allargare il raggio comunicativo.
Chiunque decida di creare un reportage, una storia o una forma di narrazione documentaristica specificatamente per internet, oggi lo fa perchè vuole allontanarsi da forme di divulgazione troppo spesso auto-referenziali (self-publishing su tutti) e cercare di sensibilizzare quante più persone possibile. Rispetto alla tendenza di qualche anno fa, dove per realizzare dei multimedia si costruivano siti proprietari interattivi molto laboriosi e pesanti, sia per il team di sviluppo che nella fruizione finale degli utenti, oggi si iniziano a prediligere strutture più snelle, integrate o direttamente create per smartphone e social network. Di questi, il progetto "Geography of poverty" di Matt Black ne è stato forse il caso più interessante e famoso, procurandogli per altro una candidatura per far parte di Magnum, ma in generale la linea seguita da MSNBC per la sezione di fotografia è quella che al momento sembra più sostenibile nei fatti. Più in generale, se pensiamo alla fruizione dell’informazione su internet (sia news che approfondimento), abbiamo visto una sostanziale vittoria dei social network su tutti i siti proprietari, e a loro volta quella di Facebook su Twitter.
Abbiamo visto la nascita e la diffusione massiccia di video che fanno largo uso di testi - spesso interattivi - fruibili in autoplay senza audio, che alcune testate online hanno saputo imporre, come Vocativ e AJ+, e ora sono i big dell'informazione a seguirne il flusso. Negli ultimi mesi è stato abilitato l'utilizzo di dirette live da profili privati e non, che ha portato alla nascita e all'ascesa di comunità molto interessanti (uno su tutti i Mídia Ninja brasiliani) e lo stesso Facebook consiglia approfondimenti tematici su questioni di attualità virali, in una strategia sempre più aggressiva ed egemonica di accentrare la navigazione al resto di internet attraverso la loro supervisione - e guadagno.
Tutte queste novità portano a sviluppi ancora inesplorati e molto affascinanti, ma allo stesso tempo pongono una serie pressochè infinita di ragionamenti e conseguenze sulla libertà d'informazione, sostenibilità dell'industria giornalistica nel medio e lungo periodo oltre che l'ottimizzazione dei contenuti stessi per migliorarne l'efficacia.
2. Il tuo lavoro sulla “Morte dell’Ippica” affronta un argomento inusuale, un mondo che tutti hanno presente ma raramente si vede dall’interno. Ci vuoi parlare di come è nato?
Ero stato selezionato tra i finalisti di un concorso fotografico, il 24x36 indetto da Leica Camera Italia, in cui ognuno dei finalisti doveva raccontare per tre mesi una storia all'interno della città in cui risiedeva. Mi ero da poco trasferito a Milano e seguivo già da qualche mese la questione a livello nazionale, così mi decisi a scegliere la crisi del settore ippico come tema del mio reportage anche perchè ero a conoscenza di un imminente sciopero generale da parte degli addetti ai lavori che sarebbe stato congeniale all'approccio narrativo che volevo avere e alle tempistiche del concorso. Iniziai a raccontare le dinamiche esterne prima dell'inizio dello sciopero, mostrando l'ippodromo di S.Siro e gli scommettitori, per poi concentrarmi sulle dinamiche delle scuderie e sulle storie personali una volta iniziato lo sciopero. Il lavoro andò molto bene e oltre a farmi vincere il concorso, portò ad una proposta di Leica di diventare, assieme ad Andrea Boccalini, il loro primo brand ambassador sul territorio Italiano. Inoltre, dopo un paio d'anni un edit “stravolto” di quel lavoro fu pubblicato sul New York Times Lens, testata con cui fino ad allora avevo solo sognato di poter collaborare.
3. Lavori anche in ambito editoriale e di moda, e partecipi a diverse attività di Leica di cui sei ambassador dal 2012: come organizzi il tuo lavoro? Queste attività ti servono anche a finanziare i tuoi progetti personali?
Ho lavorato nella moda fino al 2014 - esperienza umanamente forse poco gratificante ma che mi è servita tantissimo ad avere un reale controllo della luce in fotografia – e da allora ho la fortuna di poter scegliere meglio i lavori commerciali con cui sostenermi economicamente: principalmente prediligo eventi correlati al mondo del lusso e reportage industriali. Inoltre nelle committenze commerciali oramai lavoro principalmente con il video, che a livello economico ha retto relativamente meglio l'onda d'urto della rivoluzione digitale. Con Leica, il rapporto dura dal 2012, e ad essere onesti è stata la migliore cosa che potesse accadermi, sia a livello professionale che umano. Grazie a loro non solo ho avuto da subito la possibilità di poter lavorare con attrezzature fotografiche di primissimo livello, ma ho tutt'ora la possibilità di svolgere assegnati interessantissimi in cui ho la massima libertà espressiva, con uno scambio umano e culturale continuo con il board della società e con gli altri brand ambassador - oltre ad avere la fortuna di potersi confrontare direttamente con i migliori fotografi al mondo che con Leica spesso collaborano. Insomma un canale del tutto preferenziale che ovviamente spero possa durare nel tempo.
Riguardo al discorso editoriale, gli assegnati ricevuti negli anni dalle riviste si contano sulle dita di una mano. Questo è in parte conseguenza di una mia scelta piuttosto chiara di sviluppare un linguaggio che prima di tutto potesse essere fruito attraverso smartphone e computer e in cui le riviste, soprattutto quelle italiane, non hanno ancora investito, ma anche per dei limiti caratteriali che evidentemente mi penalizzano in questo settore. Questa cosa, se da un punto di vista economico mi preoccupa poco, a livello di accrescimento professionale mi rammarica, perchè avere la possibilità di lavorare direttamente con le riviste comporta un lavoro a più mani con figure professionali diverse da cui si può sempre imparare qualcosa, siano esse photoeditor o giornalisti.
Personalmente credo molto nello scambio di idee ed esperienze come metodo accrescitivo umano e professionale, ed è sicuramente stato uno dei motivi per cui nel tempo ho scelto di lavorare con i multimedia, linguaggio che ti obbliga a doverti sempre aggiornare, oltre che a confrontarti con figure professionali quasi sempre esterne al mondo del fotogiornalismo.
4. Sei molto attivo su Instagram con un feed molto omogeneo ed uno stile che abbiamo ritrovato anche nel tuo blog: ci vuoi raccontare di come usi questa piattaforma, e più in generale i social?
Vedo nei social network una risorsa enorme con cui poter comunicare e amplificare il mio lavoro. Utilizzo diversi programmi di chat e videochiamate – e in minima parte anche il darknet - per avere un costante confronto non solo con amici ma anche con colleghi fisicamente distanti, fonti e fixer con cui ho lavorato in passato, mentre la mia presenza su Facebook, Twitter e Instagram è divisa tra accesso diversificato all'informazione e una presenza più istituzionale attraverso i contenuti che pubblico.
Il mio blog non è oramai più aggiornato da un paio d'anni ma è stato un passaggio fondamentale per adattarmi allo scatto in verticale -quello che a parer mio rimane il miglior formato per comunicare con persone che guardano le tue foto/storie via smartphone, a livello globale è anche l'unico accesso alla rete per una percentuale significativa della popolazione.
Per un eccesso di superficialità e snobismo ho iniziato ad utilizzare Instagram solo poco più di un anno fa, all'inizio quasi unicamente con contenuti ibridi tra blog e fotografia, dopo poco invece alternandolo alla creazione di storie fatte ad hoc per la piattaforma in cui, una volta scento il tema, il tentativo di integrazione tra fotografie e video fosse una delle priorità principali, assieme alla coerenza stilistica.
5. Infine: cosa posterai durante il nostro #PhomTakeover?
Da circa un anno, sto seguendo alcune delle realtà musicali più sperimentali, estreme ed in alcuni casi innovative che passano per Milano, mostrando come la musica e le arti in generale siano le prime ad essere portatrici più o meno coscienti di sentimenti post-capitalistici. In sostanza, partendo dalle teorie economiche dei cicli lunghi di Kondrat'ev e riattualizzandole con gli avvenimenti e le scoperte tecnologiche dei nostri tempi, alcuni studiosi, giornalisti, politici ed economisti in tutto il mondo stanno dimostrando (o provando a dimostrare) come la nuova economia di rete possa minare i presupposti stessi del capitalismo.
Si sta affermando un nuovo modo di produzione collaborativo, che non risponde ai dettami del profitto e della gerarchia manageriale, ma ai principi della condivisione, della responsabilità reciproca e della gratuità. In questo Milano, con tutti i suoi intrinsechi difetti, è stata negli ultimi anni la città italiana che più ha incarnato, molto spesso anche inconsciamente, questi valori e le sue realtà musicali ne sono uno specchio amplificatore.
Il nome della serie è #livingatnightisnthelpingmycomplexion - citazione ad uno dei gruppi musicali che più mi ha influenzato, i Pere Ubu - e la sto quotidianamente implementando attraverso i miei feed personali. In parallelo, supportato da un amico economista sto provando a tracciare delle linee guida per rendere tangibili e quindi fotografabili alcuni degli aspetti correlati a questa teoria. L'idea è quella di iniziare a creare un database fatto di contenuti visivi quanto più diversi possibili, che raccontino l'avvento del post-capitalismo, o più realisticamente di come il sistema si stia sfaldando e auto-distruggendo da solo.
Intervista a cura di Gabriele Magazzù